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Iniziative culturali Liceo

Nel corso di ogni anno scolastico gli studenti della scuola secondaria di II grado sono coinvolti in iniziative culturali finalizzate ad accrescere le loro conoscenze, abilità e competenze, mettendole spesso a confronto con quelle dei loro coetanei di altre scuole di Roma e d’Italia. Tali eventi concorrono anche alla valorizzazione degli studenti eccellenti, così come suggerito dal dettato normativo. Le eccellenze sono chiamate a partecipare a concorsi e Olimpiadi riguardanti le tematiche oggetto delle diverse discipline curricolari.
L’Istituto promuove inoltre, anche grazie alla collaborazione con alcune università, incontri di formazione per gli studenti con rappresentanti della cultura, delle istituzioni, del volontariato e delle forze dell’ordine. Tali esperienze contribuiscono a promuovere nei giovani la sensibilità nei confronti del patrimonio culturale italiano, il senso della legalità e l’attenzione nei confronti del prossimo.

Incontri sulla Legalità

Ogni anno gli studenti partecipano a incontri con rappresentanti delle forze dell’ordine, prevalentemente dell’Arma dei Carabinieri, per discutere sul tema della legalità. Il dibattito tra gli studenti e gli ospiti verte inoltre sui temi della sicurezza stradale, del consumo di alcolici e droghe, del bullismo e cyberbullismo.

Olimpiadi di Leonardo Da Vinci 2020

Nel corso dell’anno scolastico 2019-2020 sei studenti eccellenti del liceo hanno costituito una squadra per prendere parte alle Olimpiadi di Leonardo da Vinci per la società della conoscenza, indette per celebrare i 500 anni dalla morte del genio italiano. Approfondendo ambiti diversi legati all’opera del genio di Vinci, gli studenti si sono preparati per affrontare le varie fasi della competizione. A seguito dei provvedimenti adottati dal governo in materia di Covid 19, le Olimpiadi sono state sospese, in attesa di poter riprendere le attività quando la crisi sarà rientrata.

Dantedì 2020

Nel 2019 il Consiglio dei Ministri ha stabilito di dedicare a Dante Alighieri una giornata nazionale in vista dell’importante anniversario del 2021, i 700 anni dalla morte dell’autore. La scelta è caduta sul 25 marzo, una delle possibili date che gli studiosi individuano per l’inizio del viaggio ultraterreno descritto nella Divina Commedia.

Gli studenti del liceo e i loro insegnanti si soffermano sui passi delle opere di Dante a loro più cari, fornendo una motivazione della scelta compiuta che evidenzia con quale potenza le parole del poeta siano in grado di raggiungere il cuore di chiunque vi si accosti con amore. Molti di loro leggono la situazione attuale, la pandemia che ha compito il mondo intero, proprio alla luce delle parole del poeta fiorentino.

“Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia, quand’ella altrui saluta, ch’ogne lingua devèn, tremando, muta, e li occhi no l’ardiscon di guardare”. (Vita Nova, cap. XXVI, vv. 1-4)

Mi ha colpita la descrizione di Beatrice poiché traspare un amore veritiero, un amore carico di emozioni che permette di capire quanto Dante la abbia amata. La descrizione lascia intendere l’ammirazione e lo stupore che Beatrice può provocare. È come se per i suoi occhi fosse sempre la prima volta che la vedono e si innamorano, come fosse l’unica cosa bella al mondo... la guardano come fosse l’unico modo in cui l’amore sappia guardare.

Ludovica Scioli

“A l’alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e ‘l velle, sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle.” (Par. XXXIII, vv- 136-139)

Mi sono piaciuti davvero tanto questi versi dedicati a Dio, dato che si riferiscono non solo alla grandezza dell’amore divino, ma anche a quello umano. Come riferiscono i versi precedenti, il desiderio di sapere e la volontà parevano mossi come una ruota di moto uniforme come l’amore che muove l’intero universo. A mio parere, l’amore è la fonte principale che fa rimanere in vita gli umani e che muove l’universo, dato che ci fa rimanere più uniti tutti. L’amore può essere sia quello passionale che spirituale e credo che Dante volesse porre un bivio tra l’amore per Dio e quello carnale.

Francesca Guzzo

"Ne la profonda e chiara sussistenza de l’alto lume parvermi tre giri di tre colori e d’una contenenza; e l’un da l’altro come iri da iri parea reflesso, e ’l terzo parea foco che quinci e quindi igualmente si spiri. Oh quanto è corto il dire e come fioco al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi, è tanto, che non basta a dicer ’poco’". (Par. XXXIII, vv. 115-123)

Siamo all’apice della visione beatifica, dopo la luce e la percezione dei beati e degli angeli che si muovono nella rosa mistica, Dante scorge, nel graduale potenziarsi della sua capacità di “vedere” capacità intellettuale, ovviamente, un altro schema, quasi un disegno di tre cerchi di tre colori. Il secondo come riflesso del primo e il terzo come una fiamma spirante dai due. Pur rendendosi conto della difficoltà di esprimere a parole la visione, coglie all’interno del secondo cerchio la forma dell’uomo, come dipinta al suo interno e del medesimo colore; e pur vedendola non riesce a spiegarsi - come lo studioso di geometria davanti al calcolo della circonferenza- come potesse essere lì inscritto il mistero dell’incarnazione. E proprio nel momento in cui si rende conto di non avere sufficiente capacità per spiegarlo, viene folgorato dalla comprensione, non più razionale né visionaria, che lo riempie e sazia e gli fa percepire come i suoi stessi desideri e la sua stessa volontà siano ormai parte di quell’armonia mossa e voluta dall’amore divino. L’amore, anzi tutte le forme d’amore, per gli amici, i fratelli, per lo studio, la compagna o il compagno, i figli. sono il solo vero modo per avvicinarsi a Dio.

Adriana Chirizzi

"«Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d'etterno consiglio, tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ’l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l’amore, per lo cui caldo ne l’etterna pace così è germinato questo fiore". (Par. XXXIII, vv. 1-9)

In un momento così difficile colmo di incertezze e di difficoltà con " L'aere sì pien di malizia" (XXIX canto dell'Inferno), come non rivolgersi alla grandezza di Maria, alle sue infinite virtù, la carità è la speranza? Lei che la sola speranza di salvezza? Lei è madre, da Lei scaturisce ogni grazia, la più umile e la più alta delle creature, come dice Dante. A Lei con il cuore in mano e lo sguardo rivolto verso il cielo ci affidiamo.

Loredana Freddi

“O donna in cui la mia speranza vige, e che soffristi per la mia salute in inferno lasciar le tue vestige, di tante cose quant’i’ ho vedute, dal tuo podere e da la tua bontate riconosco la grazia e la virtute. Tu m’hai di servo tratto a libertate per tutte quelle vie,per tutt’i modi che di ciò fare avei la protestate” (Par. XXXI, vv 79-87)

Queste terzine mi hanno colpito particolarmente perché qui Dante esprime, per la prima volta in modo travolgente, l’esaltazione nei confronti della sua donna angelo Beatrice. Inoltre egli la ringrazia per ogni singolo momento di aiuto e le è grato per la sua Grazia e al tempo stesso la sua Forza. Naturalmente la scelta di questo canto è legata anche al mio nome.

Beatrice Morucci

“S’io m’intuassi, come tu t’immii” (Par. IX, v. 81)

Mi è molto piaciuta e mi ha piacevolmente sorpreso la preghiera proposta dal Santo Padre il 19 marzo scorso, nella Messa dalla cappella della Domus Sanctæ Marthæ, per invitare i telespettatori (esplicitamente menzionati) «a fare la comunione spirituale»: Ai tuoi piedi, o mio Gesù, mi prostro e ti offro il pentimento del mio cuore contrito che si abissa nel suo nulla e nella Tua santa presenza. Ti adoro nel Sacramento del Tuo amore, desidero riceverti nella povera dimora che ti offre il mio cuore. In attesa della felicità della comunione sacramentale, voglio possederti in spirito. Vieni a me, o mio Gesù, che io venga da Te. Possa il Tuo amore infiammare tutto il mio essere, per la vita e per la morte. Credo in Te, spero in Te, Ti amo. Così sia. Vieni a me, o mio Gesù, che io venga da te. Questa supplica, in particolare, mi ha ricordato un verso di Dante: Io ti intuo come tu ti immii. Il verbo dantesco - una delle innumerevoli sublimi creazioni linguistiche del poeta - indica la possibilità da parte chi scrive di potersi identificare spiritualmente con l’amato/a. Una autentica fusione spirituale.

Michele Brescia

“Già s’inchinava ad abbracciar li piedi al mio dottor, ma el li disse: “Frate, non far, chè tu se’ ombra e ombra vedi” Ed ei surgendo:” Or puoi la quantitate comprender de l’amor ch’a te mi scalda, quand’io dismento nostra vanitate, trattando l’ombre come cosa salda”. (Pg. XXI, vv. 130-136

Questi versi del canto XXI, in cui Stazio riconosce il suo adorato Virgilio, mi hanno fatto riflettere. Mi ha colpito come un uomo, solo con le sue parole e senza mai poterlo incontrare in vita, possa cambiare la vita di un altro uomo a tal punto. Questo mi ha fatto ragionare sul potere delle parole e delle idee che vengono espresse attraverso queste -anche se talvolta possono essere fraintese, come poi farà lo stesso Stazio- che diventano come un seme che, a seconda della terra su cui vengono seminate danno frutti più o meno abbondanti.

Leone De Angelis

“Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!” (Pg. VI, vv. 76-78)

Nel canto VI del Purgatorio, proseguendo nel loro cammino, Dante e Virgilio incontrano Sordello da Goito, famoso poeta e trovatore del XIII secolo. Non è' inconsueto inciampare nel presente durante la lettura della Commedia di Dante, ma Calvino lo aveva scritto che "un classico è un libro che non ha mai finito di dire ciò che ha da dire". Quella di Dante è un’invettiva contro il degrado e la corruzione, appassionato e doloroso sguardo all'Italia “serva”. La caoticità e certa miopia del momento sensibilizzano tutti noi alla necessità di lavorare per la pace e per il bene comune.

Patrizia Amatucci

“Deh, quando tu sarai tornato al mondo e riposato de la lunga via", seguitò 'l terzo spirito al secondo, "ricorditi di me, che son la Pia; Siena mi fé, disfecemi Maremma: salsi colui che ’nnanellata pria disposando m’avea con la sua gemma"”. (Pg. V. vv. 130-136)

Quando lessi questi versi, ne rimasi particolarmente colpito. Subito volli comparare questo omicidio di amore a quello di Paolo e Francesca e ne trassi subito una conclusione. Mentre Francesca esplicitamente denuncia il marito dicendogli che gli spetta la Caina alla sua morte, Pia dei Tolomei non lo maledice ne sembra scossa, bensì rimane quasi estranea alla sua vecchia realtà terrena. Soprattutto è una delle poche che chiede a Dante con cortesia di ricordarla dando prova di una gentilezza interiore. Poi un fattore molto interessante di questi versi è la loro misteriosità poiché della Pia dantesca non si sa molto, infatti le teorie dietro Pia sono innumerevoli tanto che alcuni non la credono neanche parte della famiglia dei Tolomei.

Edoardo Michetti

“Orribil furon li peccati miei; ma la bontà infinita a sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei”. (Pg. III, vv 120-123)

Questi tre versi trasmettono molta speranza e sicurezza. Una sicurezza che sembri regalarci il perdono, qualsiasi sia stata la nostra colpa, e ci riserva la possibilità di migliorare e scoprire un cuore buono in ognuno di noi. Ciò che c’è di più rincuorante in momenti ardui e bui della nostra vita è il sapere che in qualche modo tutto andrà bene e ci sarà sempre una provvidenza benevola a garantircelo, quasi come se ci proteggesse in un abbraccio dopo aver trascorso un brutto periodo. Ognuno di noi dovrebbe continuare a custodire speranza e fede senza farsi vincere dallo sconforto. È importante tenerlo a mente, soprattutto in questo periodo di paura e confusione in cui la normalità alla quale eravamo abituati non c’è più. Bisognerebbe cercare di vedere questa fase come un tunnel dal quale presto usciremo e, una volta usciti, saremo pronti ad apprezzare la luce più di quanto lo avessimo mai fatto prima.

Beatrice Bellelli

“Noi eravamo lunghesso mare ancora, come gente che pensa a suo cammino, che va col cuore e col corpo dimora”. (Pg. II, vv. 10-12)

È la descrizione di una persona che, guardando il mare, sogna e con la mente avanza, ma con il corpo rimane sulla riva. Mi ritrovo spesso in questa situazione, soprattutto in questi giorni in cui siamo chiusi a casa. Con la mente possiamo immaginare un futuro, ma con il corpo siamo bloccati.

Anna Passalacqua

“Or ti piaccia gradir la sua venuta: Libertà va cercando, ch’è si cara, Come sa chi per lei vita rifiuta”. (Pg. I, vv 70-72)

Virgilio si rivolge a Catone, custode del purgatorio, che rappresenta l’emblema della libertà in quanto si tolse la vita pur di non rinunciare ad essa dopo la vittoria di Cesare nella guerra civile. Per quanto Dante parli della liberazione dai peccati terreni, il tema della libertà, anche se con una accezione diversa, ci tocca molto da vicino in questo periodo. Per la prima volta nella vita di tanti siamo stati privati di molte delle nostre libertà. E lo siamo tutti, senza distinzione sociale o etnica. Questo periodo servirà a capire quanto la libertà si trovi nelle cose più semplici, di ogni giorno, che alla fine sono quelle che mancano di più; ma servirà anche a saper mettere in scala quali sono le più importanti. Bisogna ricordare che in questo momento la libertà per la quale l’uomo ha lottato di più nella storia non ci è stata tolta: è la libertà di espressione. Dobbiamo però utilizzarla con saggezza. Per fortuna noi riacquisteremo le nostre libertà, è solo questione di tempo, e spero che ne usciremo più forti e consapevoli di prima.

Olivia Matthias

“E quindi uscimmo a riveder le stelle”. (Inf. XXXIV, v. 139)

È il momento in cui Dante e Virgilio, dopo aver faticosamente attraversato la Natural Burella, contemplano il cielo stellato dell'altro emisfero. Ha tantissimi significati per me, primo su tutti vorrei far notare quanto sia attuale, in un momento storico del genere, questo verso. L'Italia, il Bel Paese, la Signora con lo stivale tacco 12, ha sempre camminato a testa alta, a volte ha inciampato, ma si è sempre rialzata. Il Covid-19 è stato non un inciampo, bensì una rovinosa caduta. L'Italia si è fatta male, è sola, i Paesi intorno fanno tutto meno che aiutarla, è un Paese deserto. Non c'è più la fila al Colosseo, i turisti in gondola a Venezia, il Duomo di Milano è vuoto. Un grande silenzio, un'atmosfera surreale, come l'Inferno di Dante. L'unica differenza è che Dante sapeva che sarebbe durato solo 34 canti, noi invece siamo e saremo coinvolti fino a quando il Destino lo vorrà. Quando finirà scopriremo che tutto quello che fino ad oggi ci è sembrato futile, lo ameremo: andare a scuola, abbracciarsi, prendere un caffè a un bar, fare delle passeggiate. Vedremo il tramonto di questo periodo buio, come l'Inferno, e usciremo a riveder le stelle, quando tutto sarà un ricordo lontano.

Flaminia Pace

“Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". (Inf XXVI, vv. 118-120)

In questa terzina Ulisse sprona i suoi compagni, ormai vecchi e stanchi, a compiere un ultimo viaggio attraverso le Colonne d’Ercole, poiché erano stati creati per seguire virtù e conoscenza e non per vivere come bestie. Ho particolarmente a cuore questa terzina innanzitutto perché Ulisse è sempre stato il mio eroe preferito della mitologia greca, e poi per la sua esortazione verso i compagni di viaggio: l’essere umano non è stato creato per vivere al buio dell’ignoranza, bensì per conoscere, per essere curioso, per avere una cultura e volerla ampliare. Una vita condotta alla ricerca della conoscenza è una vita ben spesa, è una vita ricca di soddisfazioni. Gli uomini sono di natura curiosi e volenterosi di apprendere, ma spesso soffocano questi desideri sul nascere. Bisogna ricordarsi però che l’unico modo per distinguersi è tramite la conoscenza, solo grazie a quella si riesce a sopravvivere, perché funge da luce durante tutta la vita, specialmente durante i momenti bui. Questa terzina è importante per me perché mi ricorda che siamo stati creati per provare sentimenti nobili, per avere sete di conoscenza e per voler ampliare ogni giorno il nostro bagaglio culturale.

Flaminia Manara

"Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza’. Li miei compagni fec’io io sì aguti, con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia li avrei ritenuti; e volta nostra poppa nel mattino, de’ remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino”. (Inf. XXVI, vv. 120-126)

Ci troviamo nel canto di Ulisse, in cui egli narra il suo ultimo viaggio e la sua morte. Giunto alle colonne d’Ercole insieme ai suoi compagni, che erano oramai vecchi e stanchi, Ulisse li incitò a proseguire la navigazione per conoscere il mondo “senza gente”. I compagni incitati dal discorso di Ulisse “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza”, accettarono di continuare il viaggio e insieme fecero il folle volo. Dopo mesi di navigazione apparve loro un’alta montagna, ma proprio mentre si rallegrarono della vista della nuova terra, un turbine improvviso si abbatté sulla nave, e dopo averla fatta girare tre volte su se stessa, alla quarta volta la inabissò come aveva stabilito Dio. Il viaggio fu definito da Ulisse “folle” perché si è reso conto ormai da morto, che la sua impresa è stata vana poiché aveva superato i limiti stabiliti da Dio, e la sua impresa non è stata sorretta dalla Grazia Divina. I versi mi hanno fatto poi capire la differenza tra il viaggio di Dante e quello di Ulisse: entrambi sono viaggiatori, ma mentre Dante è accompagnato dalla Grazia Divina e quindi sa che ha un grande dono e così potrà ottenere la salvezza, Ulisse no.

Luca Saccomandi

“"O frati", dissi," che per cento milia perigli siete giunti a l'occidente, a questa tanto picciola vigilia d'i nostri sensi ch'è del rimanente non vogliate negar l'esperienza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a vivere come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza"”. (Inf. XXVI, vv. 112-120)

Dante, che è osservante, cattolico e guelfo, colloca Ulisse nell'Inferno poiché egli per seguire la sua sete di conoscenza ha scelto di superare i confini, di trasgredire le regole, di andare oltre quel limite che era stato imposto e di rompere gli schemi della comune sopravvivenza, che è quella che ci porta a seguire gli istinti primari che caratterizzano anche gli animali. La paura, però, spesso ci induce a non rischiare e quindi a condurre una vita tranquilla, scandita da orari abitudini e regole di comune convivenza, anche perché spesso tutto ciò che è diverso, sconosciuto e nuovo ci inquieta. Alcune volte però la sete di conoscenza, ci aiuta a superare le paure, ad abbandonare le nostre certezze dentro le quali ci sentiamo protetti, abbandonare le nostre comode abitudini e cercare di superare i nostri limiti. È il caso di Ulisse, che, pur di esplorare il mondo, rinuncerà all’amore per Penelope, Telemaco ed Anchise. Dante, nonostante condanni Ulisse, allo stesso tempo lo ammira per la sua sete di conoscenza, ed è consapevole che chi compie delle scoperte lascerà un dono alle generazioni future, e che senza le scoperte non ci sarebbe il progresso. Si deve però imparare a seguire le virtù, ovvero ciò che ci porta verso il bene, sempre consapevoli della propria limitatezza e, come ci insegna anche Galileo, approcciarsi con umiltà ai propri studi e alle ricerche, poiché la conoscenza è infinita. A tal proposito, in questo periodo, ci sono persone che cercano di conoscere e scoprire il comportamento di un virus letale per mettere in salvo tante vite sono persone che seguono “virtute e canoscenza” e sono anche caritatevoli, perché, come dice San Paolo: “la conoscenza se non è accompagnata dalla carità non giova a nulla".

Isabella Perrella

“"O frati", dissi," che per cento milia perigli siete giunti a l'occidente, a questa tanto picciola vigilia d'i nostri sensi ch'è del rimanente non vogliate negar l'esperienza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a vivere come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza"”. (Inf. XXVI, vv. 112-120)

Ulisse è un eroe omerico, forse la figura mitica più ricca di suggestione di tutta l'antichità. A lui Virgilio chiederà sulla sua fine (si fa portavoce del desiderio di Dante), rimasta un mistero per tutti. Ma se Ulisse è celebre per il furto del Palladio, per l'impresa di Troia, qui Dante si assume il solenne compito di assegnargli una grande fine e infatti Ulisse parlerà di un'altra storia, quella del suo viaggio senza ritorno alle colonne d' 'Ercole. L' eroe greco rappresenta la prevaricazione dell'intelletto umano, che vuole con le sue uniche forze raggiungere l'ignoto, lo scibile e così pecca di "hybris", di tracotanza, di eccesso. Vorrei far notare come ci sia una profonda analogia tra lui e il primo uomo, Adamo. Questo a dimostrazione del fatto che il poeta non abbandonerà mai durante il suo viaggio, diverso da quello di Ulisse, né la classicità, né il Cristianesimo. Virtù e Conoscenza sono in realtà parole che simboleggiano il mondo antico nella sua coscienza più alta. Ricordate anche che nella voce di Ulisse parla la voce di Dante perché quell'eroe che salpa verso l'ìgnoto, pieno di ardore, conscio della dignità umana che distingue l'uomo dai Bruti, non solo somiglia a Dante, ma è Dante stesso. Il poeta lascia in Ulisse qualcosa che è stato gran parte della sua vita, forse la passione in lui più forte, l'ardore di conoscere, del sapere, la realtà stessa di Dio. L' Ulisse di Dante è cosciente di oltrepassare un limite ed egli sa di correre un rischio estremo. Se la sua fosse soltanto un'aspirazione inappagata di conoscenza, egli rientrerebbe nel Limbo, con Aristotele e Platone, Orazio e Lucano. Ma noi troviamo Ulisse nel profondo dell'Inferno, perché la sete dell'infinito deve essere saziata sì, ma in Dio e se l'uomo non accetta questo limite nell' illimitatezza finirà per perdersi. Tutto il poema è un viaggio, o meglio un ritorno verso quell'infinito che Ulisse presunse di conquistare con i suoi deboli remi e che Dante raggiunge per un'altra via e con altri mezzi.

Niccolò Agugiaro

"Ciò che narrate di mio corso scrivo, e serbolo a chiosar con altro testo a donna che saprà, s'a lei arrivo. Tanto vogl'io che vi sia manifesto, pur che mia coscienza non mi garra, ch'a la Fortuna, come vuol, son presto. Non è nuova a li orecchi miei tal arra: però giri Fortuna la sua rota come le piace, e 'l villan la sua marra." (Inf. XV, vv. 88-96)

La mia interpretazione riguardo queste terzine si basa sui consigli che Brunetto cerca di trasmettere a Dante, oltre alla profezia. Si dovrebbe ascoltare di più un consiglio o un suggerimento dato da una persona magari con più esperienza; non per forza metterlo in pratica ma tenerlo impresso dentro di se per poterlo utilizzare al momento più opportuno. Per quando riguarda la fortuna ogni uomo, come ci fa capire Dante, deve essere pronto a tutto nella vita cercando di essere forte superando gli ostacoli più difficili che la vita ci può riservare. Sicuramente è complicato per tutti( come anche per Dante superare il suo viaggio sapendo di essere prima o poi esiliato dalla sua città) lottare e superare momenti difficili ma bisogna essere consapevoli che oltre alla fortuna c'è anche la sfortuna e che la vita può riservarci sia dolore che delusione anche da parte delle altre persone; ma cercare, anche se si cade, di rialzarsi.

Guendalina Bracco

“E quella a me: ‘Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria; e ciò sa’l tuo dottore’”. (Inf. V, vv. 121-123)

Ci troviamo nel II cerchio dell’Inferno, in cui sono puniti i lussuriosi; coloro che si sono fatti travolgere dalla passione. I protagonisti del canto sono Paolo Malatesta e Francesca Da Rimini; essi nel corso della loro vita si sono lasciati trascinare da un amore molto passionale, che purtroppo li portò alla morte. In questi versi Francesca sta per iniziare a raccontare la loro dolorosa storia. Quest’ultima sostiene che non c’è nessun dolore più grande che ricordarsi le vicende belle passate durante la sofferenza. Francesca si rivolge indirettamente a Virgilio, perché quest’ultimo si trova anche esso nell’Inferno, specificatamente nel Limbo. La vicenda che ho trovato più interessante è stato il silenzio di Virgilio; questo perché probabilmente Virgilio avendo passato tutta la sua vita usando la ragione ritiene vano rispondere a qualcuno, come dei lussuriosi, che durante la loro vita non hanno ascoltato a sufficienza la ragione. Se Virgilio avesse parlato forse avrebbe accresciuto la sofferenza dei due dannati.

Filippo Marzano

“E quella a me: ‘Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria; e ciò sa’l tuo dottore’”. (Inf. V, vv. 121-123)

Ho trovato nei versi del quinto canto dell’inferno una somiglianza con ciò che noi tutti viviamo oggi. Dante ci ricorda che non c’è nessuna sofferenza maggiore di un ricordo del passato felice quando si è in una situazione terribile. Francesca parla del suo dolore nel rivivere i momenti felici con Paolo prima che il loro rapporto fosse scoperto da Gianciotto, marito di lei. Anche noi oggi, in questo momento storico di crisi economica e di pandemia, rimpiangiamo i momenti della nostra quotidianità che prima sottovalutavamo, dal momento che siamo costretti a rimanere a casa, a non poter vedere i nostri cari e a svolgere una routine diversa dalla solita.

Ludovica Sofia Petrini

“Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. Amor condusse noi ad una morte. Caina attende chi a vita ci spense". Queste parole da lor ci fuor porte”. (Inf. V, vv. 100-108)

Questi versi mi sono molto cari in quanto riescono a unire due miei grandi amori: il canto V dell’inferno e la recitazione. È esatto: ogni volta che mi tornano alla mente questi celebri versi, non posso evitare di ripensare alla mia interpretazione della principessa Turandot nell’omonima opera di Puccini: questo ruolo, più di altri, mi ha colpita e sicuramente anche cambiata. Ricordo bene la frustrazione di non riuscire a dare la giusta intonazione ai forti e confusi sentimenti della principessa; l’angosciante terrore di distruggere con un’interpretazione mediocre un personaggio complesso come lei. È questa la ragione per cui questi versi mi stanno tanto a cuore: mi fanno rivivere dei momenti per me importantissimi, dei momenti che sono ricordati solo riguardando l’opera terminata con i miei colleghi attori.

Aliai Altea La Magra

“Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. Amor condusse noi ad una morte. Caina attende chi a vita ci spense". (Inf. V, vv. 100-107)

Dante e Virgilio si trovano nel girone dei lussuriosi, quelli che in vita si fecero travolgere da passioni amorose. Penso che questo sia il canto che mi ha colpito maggiormente; parla dell’amore illecito tra Paolo e Francesca. Credo che l’amore vissuto in tutte le sue sfaccettature sia la cosa più bella e sono dell’idea che questo pensiero sia dato anche dal fatto che sono fidanzato e quindi capisco che cosa significa provare sentimenti profondi nei confronti di una persona.

Jacopo Paladini

“Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. Amor condusse noi ad una morte. Caina attende chi a vita ci spense". Queste parole da lor ci fuor porte”. (Inf. V, vv. 100-108)

Quella di scegliere tre terzine che più ci hanno colpito non è un’impresa facile. Io ho selezionato quelle che mi sono rimaste più impresse della cantica dell’Inferno e, per l’esattezza, il quinto canto, quello di Paolo e Francesca, la cui storia è inoltre una di quelle che colpirono di più anche Dante durante il suo viaggio. Queste tre terzine fanno capire quanto sia stato grande l’amore che li portò tutti e due alla morte e come questo peccato di aver scelto come unica ragione di vita il loro amore è forse uno dei pochi che non viene visto come un vero e proprio peccato.

Valerio Luminari

“Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. Amor condusse noi ad una morte. Caina attende chi a vita ci spense». Queste parole da lor ci fuor porte.” (Inf. V, vv. 100-108)

L’amore è il motore della vita e per questo va dimostrato, coltivato e preservato. L’intero globo sta affrontando una situazione difficile e per molti aspetti spaventosa e quindi oggi più che mai è necessario ricordarsi di amare per combattere la preoccupazione, la tristezza e tutti quei sentimenti che provocano effetti negativi sugli altri e soprattutto su se stessi. Queste terzine piene di emozioni sono la prova del fatto che l’amore è una forza alla quale l’uomo non può opporsi e che molto spesso rende gli uomini delle vittime. Secondo la concezione medievale questo sentimento colpisce i cuori nobili: non nobili di stirpe bensì di sentimenti. Anche se difficile bisogna amare senza freni. Quindi è come se le persone che amano venissero colpite da un furor ed è proprio per questo che nel canto compare anche la figura di Didone che riporta al IV canto dell'Eneide. A tal proposito è sempre interessante vedere come le varie opere si intersecano tra loro. In questo canto, per esempio, Dante prende ispirazione anche dal “De amore” di Andre Cappellano, mentre la tragica storia di Paolo e Francesca è ripresa e approfondita da Boccaccio. Questa parte è solo una piccola porzione del grande insegnamento che Dante ha lasciato alle future generazioni.

Agnese Di Giovanni

“Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa”. (Inf. III, vv. 49-51)

Ho scelto questo passo dell’Inferno perché mi è sempre rimasto impresso nella mente. Nel III canto dell’Inferno Virgilio descrive gli Ignavi: anime che in vita furono vili “senza infamia e senza lodo.” Non si schierarono mai né da una parte né dall’altra (non solo politicamente). Trovo quest’osservazione molto attuale, in quanto ancora oggi vi sono persone che adottano questo comportamento. Molte osservazioni di Dante nella Divina Commedia rispecchiano comportamenti o eventi che accadono ancora oggi. Questo celebre verso infatti viene spesso utilizzato come modo di dire: “non ti curar di loro, ma prosegui per la tua strada”. Viene utilizzato proprio per identificare il genere di persone dalle quali sarebbe meglio tenersi lontani. Ciò che mi ha colpito di più quindi sono la veridicità ed il potere delle parole di Dante.

Greta Angelini

“O anima cortese mantoana, di cui la fama ancor nel mondo dura, e durerà quanto ’l mondo lontana, l’amico mio, e non de la ventura, ne la diserta piaggia è impedito sì nel cammin, che vòlt’è per paura; e temo che non sia già sì smarrito, ch’io mi sia tardi al soccorso levata, per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito”. (Inf. II, vv. 58-66)

Per compiere il viaggio verso la vetta del suo desiderio, Dante, ogni uomo, ha bisogno dell'aiuto della Ragione e della Fede. Beatrice, la fede, chiede il soccorso di Virgilio, la ragione, per condurre il poeta sulla strada della salvezza. Virgilio accetta con entusiasmo il compito affidatogli e si meraviglia che un'anima beata abbia accettato di visitare l'oscurità dell'Inferno. Il fuoco di carità che arde in Beatrice non teme la fiamma della dannazione ma va alla ricerca di una diversa luce, quella dell'intelletto. La teologia ha bisogno della sapienza, della filosofia, anche di quella antica, per condurre l'uomo verso l'alto, attraverso l'abisso oscuro e intricato del peccato. L'uomo è sempre sostenuto nel suo cammino da due luci ugualmente sfolgoranti: una brilla nella sua mente, l'altra rispende nel suo cuore.

Leonardo Pasqualini

“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita” (Inf. I, vv. 1-3)

Questi versi potrebbero sembrare la scelta più banale, al contrario ho citato questo meraviglioso passo della Divina Commedia perché questo è l'inizio di un'opera eccezionale, che ancora oggi viene considerata un vanto e citata fierezza da parte del popolo italiano. Questi versi hanno fatto la storia della letteratura italiana, tre semplici righe che insieme suonano meravigliosamente. Questi versi rappresentano il vero Dante Alighieri che, nel bel mezzo della sua vita, si ritrova in una selva oscura, immagine del peccato, rendendosi conto ormai di aver perso la strada giusta.

Edoardo Minozzi